di Giuliano Gallini
Dallo scrigno de Il tessitore del vento di Romano Augusto Fiocchi i personaggi escono preziosi, infiniti e indomiti. Sono preziosi perché brillanti d’aspetto e unici come gioielli di valore, sono infiniti perché se è vero che non si “può vivere con il peso dell’infinito sulle spalle” tornano più volte sulla scena, “tornano sempre” insieme alle loro ombre e ai loro doppi, e sono indomiti perché affrontano i desideri e la morte con il coraggio di chi non mette mai in conto la resa. I personaggi principali sono ventisei (Fiocchi ne fa un elenco autoriale a pagina 365) e tra loro c’è anche la città dove tutto accade, Venezia, che impugnando un piccolo scettro di corallo rosso prende più volte la parola con voce “asessuata e metallica” per ammonire che “non si possono affogare le storie”.

È la follia di Federico Grandi, uno scrittore, a dar voce ai personaggi; una follia che permette a Fiocchi di scrivere pagine bellissime sia sui destini individuali sia sul destino corale di una umanità che cercando di abbattere i propri limiti finisce spesso per frenare invece la vita, per trattenerla, per impedirle di esprimersi. Lo scrittore, come Faust, fa un patto con il diavolo: e chi è il diavolo per uno scrittore se non l’editore? La storia di Federico Grandi è un capolavoro di ironia: finalmente lo scrittore trova un editore disposto a pubblicare il romanzo in cui crede ciecamente ma il patto è diabolico, dovrà suicidarsi davanti al pubblico il giorno della presentazione. L’editore, lo scrittore, la presentazione, il successo, i diritti, le vendite… Chi non si precipiterebbe a comprare il romanzo di uno scrittore che si è suicidato il giorno della ‘prima’? L’editore rientrerà ampiamente degli anticipi che per sei mesi si è impegnato ad elargire allo scrittore, compreso un sontuoso soggiorno nel miglior hotel di Venezia e lo scrittore avrà finalmente la propria gloria letteraria, anche se postuma.
La storia di Federico Grandi si intreccia con molte altre. Decine di microstorie affiorano continuamente sul terreno della narrazione principale senza mai risultare gratuite o superflue. Una recensione non può dar conto di tutte, anche perché finirebbe per svilirle, ma non posso non ricordare il mistero della morte di Annella e della scomparsa di Laura Zulian, e l’ingombrante narcisismo di Rubes Tavazzani, una figura colossale “al centro di ogni cosa e al centro di ogni storia” alla disperata ricerca della verità. Con lui ho fatto scorribande intellettuali ed emotive nella Venezia dei nostri giorni, con scivolamenti nel surreale e nel grottesco, pennellate mirabili che mi hanno trasportato nell’essenza di una città straniata da una grande storia e dalla schiavitù del turismo.
Ecco come Federico Grandi si rivolge ai personaggi che affollano la sua mente:
“Guardo fuori. Sta albeggiando. I gabbiani sono già in cerca della loro colazione e passano strillando sopra San Marco. Inutile. Un uomo può strappare i propri sogni ma attorno a sé altri sogni continuano a vivere. Mi guardo le spalle. Ombre di personaggi. Ci sono ancora tutti. I loro visi sempre più smorti, le braccia lungo il corpo, qualcuno seduto sul letto, sul comodino, su una sedia. Uno continua a passeggiare davanti alla portafinestra. Non se ne vanno. Sanno che il mio tempo sta per finire. E con esso il loro. Ma non vogliono cedere. Dunque proseguiamo! Apro le braccia e mi rivolgo a tutti, indistintamente”.
I personaggi de Il tessitore del vento sono presenze perturbanti delle quali, dopo pochi capitoli, il lettore non può fare a meno. Si aspetta il loro ritorno. Sono doppi, ombre, alter ego, amici immaginari: la loro esplosione sulle pagine curate e mai banali di Fiocchi trova una ragione nei desideri, finalmente rivelati. Lo scrittore di sé dice: «quando ti accorgi che al posto del sangue hai dell’inchiostro, non puoi farci niente: devi scrivere, scrivere, scrivere». Ma seguire questa passione gli sarà fatale: le corpose opere prodotte riceveranno solo dei rifiuti fino a quando per l’ultima, dal titolo definitivo Glielo pubblico se lei si uccide, riuscirà a firmare un contratto estremo.
Romanzo-miniera, letterario e incalzante, Il tessitore del vento non ci offre solo storie umane (e di cose: parleranno infatti anche pipe di schiuma e maschere!) e una visione incantata di Venezia ma anche il “palinsesto esegetico” de La tempesta di Giorgione da Castelfranco. Chiunque ami questo dipinto e conosca le innumerevoli interpretazioni dell’opera non potrà non apprezzare quella del “tessitore”, che fa sentire chi legge parte del quadro stesso; e una riflessione profonda sul tempo, su “quel paradosso temporale che è il futuro, ciò che non è ancora ma che prima o poi dovrà essere, anche se resterà sempre in quella condizione di divenire senza poter essere mai”. Infine, entrerà nel romanzo anche la Morte, ovviamente bardata di mantello nero, di bautta che svolazza alle sue spalle – e direi alle spalle di tutti noi, sarcastica, tremenda ma, infine, non invincibile perché un amore ci può sempre tenere in vita.
Intervista all’autore
La prima domanda è scontata: la storia de Il tessitore del vento, della sua creazione e delle sue edizioni.
Sì, in effetti la storia editoriale del Tessitore è già di per sé una storia tra le storie: quattordici anni di stesure e di rifacimenti, decine di consegne a editori piccoli e grandi, poi, nel 2006, una casa editrice di Pesaro che lo pubblica, ma, nel giro di un anno, chiude i battenti senza distribuirlo. Quindi altri quindici anni tentando una ripubblicazione, cosa ancora più difficile, collezionando rifiuti ma anche apprezzamenti, come quello di un consulente editoriale che lo propone a Einaudi, purtroppo senza successo. Finché, grazie a una collaborazione con uno scrittore del calibro di Francesco Permunian, ecco saltare fuori un editore che scommette sul valore del testo: la Ronzani di Vicenza. Il resto è storia di questi giorni.
La seconda ogni scrittore se la sente rivolgere, ma nel tuo caso mi sembra particolarmente opportuna dato il numero di personaggi che hai creato. Alberto Della Rocca direttore editoriale o Cristiana la cameriera, ad esempio, li hai progettati o sono scesi sulla pagina così come sono apparsi nella suite del Danieli a Federico Grandi? Ossessivi, Federico non riesce a toglierseli di torno. Tanto che quasi impreca: «I personaggi tornano sempre. Tornano e si confondono con noi perché anche noi siamo personaggi. La vita è un pretesto. I personaggi che noi siamo, i personaggi che ci circondano, veri o finti che siano, sono un pretesto per vivere. In realtà, se vedessimo l’abisso che ci attende. Toglieremmo subito il disturbo. Non si può vivere con il peso dell’infinito sulle spalle».
Questa è sempre una domanda difficile, soprattutto perché stiamo parlando di un progetto ideato oltre vent’anni fa e la memoria, ormai, comincia a farmi cilecca. Ti posso dire che dietro a un personaggio inventato, per quanto scenda da sé sulla carta richiamato dalle circostanze o da determinate necessità narrative, c’è sempre un personaggio reale. Dietro di lui mi immagino insomma una data persona, che magari conosco bene o che magari ho incontrato solo per poco tempo, su un treno, in un locale, da qualche parte. In questo modo mantengo la coerenza sia descrittiva che caratteriale, caricandole magari con una gestualità che lo identifichi, che funga da riferimento mnemonico per il lettore. Ti faccio un esempio: l’aiuto barbiere che taglia i capelli alla ‘mummia’ ha quel ticchio vistoso, con un suono gutturale, che resta sicuramente impresso. Ebbene, una persona così la vidi davvero decenni fa, sulla metropolitana di Milano. E quando la vidi mi dissi: questo è un personaggio, devo ricordarmelo. Finì così nella storia del Tessitore.
Il capitolo “splendori e miserie del pittor veneziano Giorgione da Castelfranco” è per me uno dei più belli, sono pagine (ma non sono le sole) magistrali, complimenti. Ma la domanda è: pensi che sia morto così, Giorgione? Tra le tue fonti c’è un fantasma che ti ha spifferato la verità?
Che Giorgione sia morto di peste è un dato storico assodato. Tutti i dettagli relativi allo scempio del suo corpo colpito dal morbo me li ha suggeriti un altro fantasma, quello di Antonin Artaud: nel suo Il teatro e il suo doppio c’è un capitolo intero dedicato alla peste. Quanto alla strega di Torcello (che ha per modello l’Azucena del Trovatore), alla lettura delle braci, all’aggressione con l’attizzatoio, alla fuga sul sàndolo, sì, credo che a spifferarmeli sia stato davvero il fantasma di Giorgione…
Un’altra pagina magistrale è quella in cui fai parlare la maschera di Annella. Qui andiamo, con la leggerezza e sapienza della tua prosa e del tuo pensiero, oltre la nascita e oltre la morte. Che sia una maschera veneziana a prendersi questo onere, e onore, è emblematico, è Venezia.
L’idea di personificare cose non-umane è un mio vecchio vizio letterario, è un modo per leggere con occhi diversi la realtà, raccontarla da un punto di vista che consenta di mettere a fuoco aspetti altrimenti nascosti. Le vicende di Venezia, ad esempio, sarebbero rimaste una banale pagina da libro di storia. Raccontate invece da Venezia stessa personificata, che entra in scena nei suoi abiti cinquecenteschi, conscia di ciò che è stata e di ciò che è oggi, cambia completamente il ritmo narrativo.
Dopo aver creato il personaggio dell’editore Fongher e di tutti quelli che gli girano attorno pensi di aver acquisito benevolenze nel mondo editoriale?
Certamente… Dai, scherzo! Nel Tessitore ci sono due tipologie di editore-personaggio: Fongher, appunto, editore puro, appassionato del suo lavoro, e Della Rocca, dirigente editoriale con impostazione industriale, uomo da marketing aggressivo. Ho quindi creato due personaggi che sono in aperto contrasto tra loro e rappresentano la realtà di oggi, fatta di piccoli editori che continuano a produrre cose straordinarie e di grandi concentrazioni editoriali che per necessità di struttura guardano solo al profitto, spesso – ma non sempre, per fortuna – a discapito della qualità.
La qualità letteraria oggi in Italia. Avanti: senza freni!
Guarda, secondo me il discorso non è soltanto editoriale. In tutti i settori l’imprenditore è stato sostituito da un modello manageriale. Spariti gli inventori dei marchi che hanno fatto la storia, restano strutture vuote, che magari sono già approdate in Borsa e devono macinare utili a qualsiasi costo, sia per sopravvivere sia, soprattutto, per raggiungere gli obiettivi a brevissimo termine dei dirigenti che si alternano alla guida della struttura. Ovviamente con questa logica non possono esistere né ricerca né progetti a lungo termine. Poi c’è l’omologazione verso il basso, l’inseguimento del mercato anziché il tentativo di elevare i modelli culturali. Nel caso dei libri: si va verso la lettura da intrattenimento e scompare la lettura come esperienza profonda, come stimolo, come strumento ottico che fornisce una diversa visuale del mondo. È un argomento complesso, non è questo il luogo per trattarlo. Ti dico solo, ma questa è una mia scelta personale, che sono pochissimi gli autori viventi italiani che finiscono nella mia libreria.
Non nascondo la mia invidia. Ti ho visto bazzicare dalle parti del Danieli. Mi faresti vedere il tuo contratto con Ronzani? Sei mesi al Danieli ce li passerei anch’io.
Ahahah! La fotografia che hai visto girare sui social risale alla prima edizione. Al momento non detengo pistole né la Ronzani me ne ha date in consegna. Dell’Hotel Danieli, poi, ho sempre visto la sola facciata, tutto il resto è invenzione letteraria.
Quante domande non ti ho fatto cui avresti avuto piacere di rispondere. Sei libero di fartene una tu.
Chiuderei con la più classica: quale sarà il prossimo libro. Risposta: la storia inedita di un violinista di strada che fa una musica straordinaria suonando un violino inesistente. È già terminata, devo solo limarla per perfezionare il testo e vedere se anche questa storia possa interessare la Ronzani.