
Mi arriva, in piena clausura forzata, un libro che aspettavo da tempo: La Marchesa Colombi. Vita, romanzi e passioni della prima giornalista del Corriere della Sera di Maria Teresa Cometto (editore Solferino, Milano 2020), una biografia aggiornata con molti dati inediti che ripropone una figura particolarmente importante della cultura italiana fra Otto e Novecento.
Essa tuttavia è stata, come praticamente tutte le scrittrici di quel periodo, volutamente cancellata e in sostanza dimenticata nel Novecento, anche per l’accurata damnatio memoriae che il mondo accademico – fino a tempi piuttosto recenti – ha esercitato sullo stile e sui contenuti delle voci femminili del periodo postunitario (con l’insigne eccezione, da segnalare e ricordare, di Benedetto Croce). Oggi finalmente questo personaggio riemerge nella sua complessità, accuratamente collocato dall’autrice all’interno del mondo della cultura milanese e nazionale.
di Antonia Arslan
Una ragazza dell'800 che sognava di mantenersi da sola
Maria Antonietta Torriani era una ragazza di Novara. Nata nel 1840 in una famiglia sfortunata e complicata, invece di pensare al matrimonio – esito obbligato per le giovani donne di allora, tanto più in provincia – coltivava dei sogni avventurosi: andare a Milano, mantenersi con la scrittura, essere indipendente e rispettata nel nuovo mondo della neonata nazione italiana, che si apriva all’affermarsi della stampa periodica come veicolo principale della cultura popolare.
Ci riuscì, ed ebbe successo come conferenziera, giornalista (con suo marito Eugenio Torelli Viollier, fondatore del «Corriere della Sera», furono una riuscita coppia in carriera nell’attivissima Milano degli anni postunitari), e romanziera.
Non era l’unica. Contrariamente a quanto si crede, furono molte le donne che in quegli anni frenetici e pieni di entusiasmi tentarono di affermarsi nel mondo letterario del nostro paese: e spesso ci riuscirono. E ci riuscirono perché c’era un gran bisogno di gente che scrivesse, ogni giorno: giornali quotidiani, riviste, settimanali, strenne nascevano continuamente, e un pubblico affamato, in cui le donne erano assai numerose, li cercava avidamente.
Molte scrittrici poi diventate famose cominciarono così, dal basso, umilmente, lavorando indefessamente e con passione – e scrivendo di tutto un po’.
Alcuni nomi sono ancora conosciuti, molti invece dimenticati: ma all’epoca erano celebri e anche molto rispettati.
Insomma, Maria Montessori, Matilde Serao, Sibilla Aleramo non sono fiori nel deserto: a loro fanno compagnia legioni di penne femminili1) che si applicavano ad ogni campo della cultura, pubblicavano dappertutto, osavano polemiche, suscitando dibattiti in cui fieramente sostenevano le loro opinioni.
Maria Antonietta, che scelse lo pseudonimo di Marchesa Colombi traendolo volutamente da un personaggio autoritario e bizzarro di una commedia di Paolo Ferrari2), fu audace e concreta. Si affermò un po’ alla volta con tenacia e fiducia in se stessa, affinando negli anni quella sua dote speciale di scrittura equilibrata e realista, aliena da sentimentalismi eccessivi ma percorsa da un’ironia un po’ cinica, che sarà sempre la sua migliore cifra stilistica, e che rende i suoi libri migliori particolarmente curiosi e stimolanti nel panorama a lei contemporaneo.
1) Un solo esempio, poco conosciuto ma molto interessante, di cui scrive Antonia Arslan in Dame, galline e regine. La scrittura femminile italiana fra ‘800 e ‘900: Maria Majocchi Plattis, la famosa Jolanda, l’“appartata marchesa di Cento” direttrice del periodico «Cordelia», e la sua accanita battaglia di idee contro Alberto Sormani, l’amico del cuore di Neera, fieramente antifemminista.
2) Commediografo, docente e politico italiano (Modena, 1822 – Milano, 1889). Scrisse prevalentemente commedie sulla vita borghese dell’epoca, fra cui Goldoni e le sue sedici commedie nuove (1851) e La satira e il Parini (1856), a cui fa riferimento qui A. Arslan.
Stile secco e segno sicuro, come un'acquaforte goyesca in bianco e nero
Il suo è uno stile secco che incide personaggi e paesaggi tratteggiando figure e scenari bislacchi e deformi con segno sicuro, come un’acquaforte goyesca in bianco e nero, e affronta argomenti inediti e ‘disturbanti’ con serena e perfino beffarda imparzialità, quasi fosse un entomologo appostato dietro la sua lente d’ingrandimento: penso a romanzi come In risaia e Matrimonio in provincia, a splendide novelle come Cara speranza, perfetto esempio della stagione verista lombarda, all’altezza del Verga migliore; o a La gente per bene, un “galateo buffo”, come lo definirono i miei studenti che se lo lessero avidamente, divertente da leggere ma sul quale c’era molto da riflettere.

Riscoperta nel 1973 con la ristampa di Matrimonio in provincia
La sua riscoperta cominciò con la ristampa – a cura di Natalia Ginzburg – di Matrimonio in provincia nel 1973, nella collana Centopagine di Einaudi diretta da Calvino. Io lessi il libro in quella edizione, e mi piacque molto: un testo di eccezionale tenuta, soprattutto per l’ironia concreta e gustosa e il linguaggio tagliente e molto moderno, tanto che lo suggerii a un gruppo di professori di diverse scuole superiori di Padova e provincia che mi avevano proposto di coordinare presso la mia cattedra un loro interessante progetto di lettura comune.
Tutti i loro alunni lessero il libro (e si divertirono a farlo!), e lo commentarono con tanta estrosa simpatia che nel 1981 riuscii a farne un delizioso libretto con la casa editrice Unicopli di Milano (Utilità delle zie, ovvero del piacere di leggere. Indagine sulla lettura nella scuola media superiore).

Ma fu negli anni successivi che il nome della Marchesa Colombi cominciò davvero a circolare, grazie alla casa editrice Interlinea di Novara (con Roberto Cicala e Silvia Benatti), che ristampò in accurate nuove edizioni i suoi libri più importanti, e organizzò proprio nella sua città il primo importante convegno dedicato a lei. E ora, grazie a questo bel ritratto a tutto tondo, centrato su di lei ma che illumina il suo mondo, le sue relazioni umane e professionali, il personaggio del marito Eugenio e il loro complesso rapporto, nonché l’oscuro, traumatico episodio della morte della nipote, possiamo dire che finalmente abbiamo i materiali necessari per inserire a pieno titolo Maria Antonietta Torriani fra gli scrittori memorabili del nostro Ottocento.

Antonia Arslan, voce italiana della diaspora armena
Ha dato voce al silenzio sul genocidio perpetrato ai danni del popolo armeno. Antonia Arslan ci parla del senso della memoria che vivifica la Storia.