ph. Andrea Lomazzi
Abbiamo conosciuto Marco Cavalli alle lezioni di letteratura che vengono organizzate dalla Forma del libro e del viaggio, una originale formula culturale che a Padova unisce una libreria, una raffinata agenzia viaggi e l’organizzazione di attività culturali, come appunto i corsi di letteratura, ma anche seminari sulla storia dell’arte, lezioni di filosofia e molto altro.
Marco è il titolare amatissimo della ‘cattedra’ di letteratura. Ma tutto è meno che un cattedratico: riesce infatti a trasmettere la sua sterminata cultura in modo non paludato, originale: e apre a una comprensione non banale dei libri e degli autori che presenta. Libri e autori che ama, tanto che – è evidente alle sue lezioni – non smetterebbe mai di parlarne.
Quest’anno tiene un corso su Dante (è uscito nel 2020 per Manuzio il suo Dante clandestino) e riesce ad appassionare il suo rapito pubblico anche alle più ostiche opere del sommo poeta, non solo all’Inferno. Purtroppo, possiamo vederlo solo attraverso lo schermo del computer, le lezioni in presenza sono sospese. Ma la sua brillante eloquenza ci trascina anche nell’incorporeo virtuale.
di Chiara Levorato
Per l’anniversario dei 700 anni dalla sua morte stanno uscendo diversi libri su Dante: biografie, riletture. Come definirebbe il suo libro? Quale obiettivo si proponeva scrivendolo?
Innanzitutto, non è un caso che Dante clandestino sia uscito a ridosso delle celebrazioni per i settecento anni dalla morte di Dante. Senza l’impegno preso con l’editore di dargli un libro entro i tempi della ricorrenza, è probabile che non avrei raccolto tutto il materiale su Dante che avevo accantonato, e non mi sarei deciso a dargli una forma. Volevo poi raccontare, più che la figura di Dante, i suoi profili di scrittore, spesso contraddittori, tramandatici nei secoli da aneddoti il più delle volte inventati.

Il Dante clandestino è l’esperienza di Dante che ciascuno si vede negare dalla struttura stessa del suo metabolismo culturale, che lo tiene lontano da ogni imbarazzo, da ogni minimo disagio. Perché la Commedia diventi interessante bisogna che il lettore ci metta del suo, accetti la sfida di ambientarsi dentro un mondo e una lingua d’invenzione.
Se le biografie di Dante sono in genere abbastanza deludenti, non è perché i biografi si siano piegati a una comoda agiografia. Il fatto è che la biografia di Dante non può essere scritta facendo astrazione dalla Commedia, cioè dalla rappresentazione che Dante dà di se stesso. E quale rappresentazione!
Essa è talmente avvincente e convincente da rendere ancor più insignificante il già scarno punto di vista della realtà. D’altronde, al di fuori della realtà non ci può essere biografia. Insomma, per raccontare Dante bisogna volenti o nolenti rifarsi al mito di Dante che Dante stesso ha costruito e che ha avuto cura di collocare all’interno della sua opera maggiore. Dante è uno di quei personaggi che fa la storia più di quanto la storia faccia lui.
Può spiegare il titolo (Dante clandestino) e il sottotitolo, o meglio l’esergo in cui lei, come Dante, si pensa all’Inferno?
Ah, l’esergo! L’esergo è un’affettazione di modestia, una civetteria. Mi sono rimpicciolito per intrufolarmi tra le zampone del dantismo istituzionale e fargli il solletico, sperando che questo ciclopico mammut si degni almeno di calpestarmi. Come vorrei che il mio libro spiacesse ai dantisti di mestiere! D’altra parte, Dante al netto del dantismo chi lo incontra mai? Ogni volta che apriamo la Commedia, la prima cosa che vediamo sono le divisioni schierate del dantismo: commenti eruditi, note filologiche, chiose, saggi introduttivi, apparati critici, esegetici. Uno spiegamento maestoso, non inferiore alla Commedia per imponenza e importanza.
Da giovane ho tentato due volte di aggirare i bastioni del dantismo. Tentativi velleitari, perché il dantismo è un pulviscolo di nozioni che respiriamo. Noi ascoltiamo i versi della Commedia con orecchie assordate da un’infinità di informazioni apprese quasi a nostra insaputa. Alle parole di Dante arriviamo, se ci arriviamo, molto dopo che ci sono state apparecchiate, spiegate. Quando le abbiamo di fronte cerchiamo in esse quel che ci hanno insegnato a trovarci. Gli italiani, conformemente alle loro carriere scolastiche e professionali, vivono la lettura in funzione sociale, sicché di fronte a qualcosa di incognito e sconcertante, un dettaglio non registrato che li colpisce, reagiscono con prudenza e praticità: chiedono lumi agli esperti, si fanno guidare. Preferiscono legalizzare la propria insicurezza piuttosto che affrontare il conflitto tra ciò che sentono e ciò che sanno.
Il Dante clandestino è l’esperienza di Dante che ciascuno si vede negare dalla struttura stessa del suo metabolismo culturale, che lo tiene lontano da ogni imbarazzo, da ogni minimo disagio. Perché la Commedia diventi interessante bisogna che il lettore ci metta del suo, accetti la sfida di ambientarsi dentro un mondo e una lingua d’invenzione.
Il lettore che si orienta da sé nel mondo di Dante è libero di relegare sullo sfondo le parti narrative del mio libro, che saranno invece centrali, immagino, per il lettore sprovveduto. Dante lo fa spesso, questo gioco: presenta una figura che per la posizione che occupa nell’enorme cattedrale della Commedia sembra una decorazione, e quando meno te l’aspetti ci sale sopra. La usa come uno scalino, il che gli permette di cambiare la prospettiva e di ampliarla.
Lei parla molto di se stesso in questo libro, o meglio delle diverse età che hanno caratterizzato il suo modo di leggere Dante: da bambino oppure durante il servizio militare, ad esempio. È un approccio molto originale: quale scopo aveva in mente? E qual è il lettore che meglio potrebbe seguirla in questa avventura?
Lo scopo era di contraddire le mie predilezioni. A me piacciono i libri di critica tradizionali: analitici, ricchi di digressioni e di pezze d’appoggio. Francesca Marchetto, direttore editoriale della Manuzio, si aspettava da me qualcosa di diverso, che spiazzasse le aspettative dei lettori, inclusi i pochi che ancora si interessano di argomenti letterari. Su Dante avevo pronto un sacco di materiale, di che farci un grosso volume. Ho cominciato scrivendo il libro così come l’avrei voluto io. Tra gennaio e luglio dell’anno scorso, complice il lockdown, ho potuto riscrivere il testo da cima a fondo e snellirlo notevolmente. Ho creato un costrutto narrativo, il racconto in prima persona della mia esperienza di giovane lettore della Commedia. Poi ho legato tra loro narrazione e discorso critico in modo che si sorreggano a vicenda. Ci sono aspetti dell’arte di Dante che la forma del mio racconto autobiografico rispecchia, e dettagli di questo racconto che si giustificano alla luce della discussione critica sulla Commedia. Il lettore che si orienta da sé nel mondo di Dante è libero di relegare sullo sfondo le parti narrative del mio libro, che saranno invece centrali, immagino, per il lettore sprovveduto. Dante lo fa spesso, questo gioco: presenta una figura che per la posizione che occupa nell’enorme cattedrale della Commedia sembra una decorazione, e quando meno te l’aspetti ci sale sopra. La usa come uno scalino, il che gli permette di cambiare la prospettiva e di ampliarla. L’uso architettonico di elementi ornamentali è una caratteristica della Commedia. È da lì che è nata l’idea di scrivere un saggio narrato.
Qual è l’ispirazione di fondo di questo libro: si capisce che sotto c’è molto di più di quello che dice. Il mio intento è ironico: sa che questo non si fa più nella narrativa? Che lo scrittore deve dichiarare, e non far fare al lettore tutte le operazioni di interpretazione?
Mi hanno rimproverato di aver messo nel libro troppi riferimenti letterari che il lettore di adesso, specie se giovane, sarebbe incapace di cogliere. Ma un lettore così, che certamente esiste, è destinato a crescere e a moltiplicarsi se non gli si cambia dieta. C’è un’intera generazione di lettori vegetariani che corre il rischio di diventare erbivora in pianta stabile. Li nutrono solo di omogeneizzati, di libri su misura. La nessuna necessità di masticare gli sta facendo cadere i pochi denti che ancora hanno in bocca. Ormai per loro addentare, spinti da una qualche golosità personale, è un’azione inutile e pericolosa. Io confido di avergli messo nel piatto un osso con un bel po’ di carne intorno.
Senza la politica, Dante non è comprensibile. Il suo poema è tutto ambientato in una realtà senza tempo, eppure la dimensione storico-politica è presente, e preminente. Ma Dante è moderno soprattutto per un motivo: perché si serve della letteratura, suo personale strumento di rivincita sulla politica, per ribadire la centralità della politica.
Il Dante che esce fuori dal suo libro è una persona molto interessante, viva, appassionata. In particolare, ed è un tema che sottolinea anche nelle sue lezioni, la sua passione politica è materia viva, flesh and blood. A scuola e nei commenti scolastici in genere, era un tema astruso (l’imperatore contro il papa, cose così…). Dante è stato frainteso, secondo lei, da questo punto di vista? O almeno, non è stata valorizzata la sua modernità? E c’è poi una modernità di Dante?
Nessuno ha il coraggio di dire che il discorso che Ulisse rivolge ai suoi compagni per fargli superare le colonne d’Ercole – il discorso, per intenderci, che troviamo in Inf. XXVI – è un discorso da politico, e da politico ‘navigato’. Il fine di Ulisse è persuadere i suoi uomini a seguirlo. Potrebbe ordinarglielo; è pur sempre un capo, un sovrano. Invece si mette su un piano di parità, li chiama “fratelli”.
Non vuole tirarseli dietro, pretende addirittura che siano loro a spingerlo avanti. E ci riesce così bene che non può fare a meno di gloriarsene di fronte a Dante. Mi ha sempre colpito questo passaggio dal pragmatismo alla rivendicazione estetica.
È come se Dante volesse mostrare quanto sia breve e facilmente colmabile la distanza che separa il trascinatore di masse dallo scrittore.
Ulisse non si accontenta di centrare il bersaglio usando le parole; esige i complimenti per il modo in cui le ha scelte e ordinate. I suoi scrupoli formali sono fini a se stessi, non sono soltanto utilitaristici.C’è un legame molto stretto tra la sensazionale fioritura della Commedia e il fallimento della carriera politica di Dante. Senza la politica, Dante non è comprensibile. Il suo poema è tutto ambientato in una realtà senza tempo, eppure la dimensione storico-politica è presente, e preminente. Ma Dante è moderno soprattutto per un motivo: perché si serve della letteratura, suo personale strumento di rivincita sulla politica, per ribadire la centralità della politica.
Cosa sta scrivendo ora?
È appena uscito, edito da Mondadori, un libro che ho scritto assieme ad Alessandro Zaltron. Si intitola About sex. È un saggio di antropologia in forma di romanzo o, se preferite, una storia scanzonata della sessualità italiana dagli anni Ottanta a oggi. La chiamo “scanzonata” perché la materia prima del libro, una volta tanto, non è una sessualità disincarnata, teorica, ma la sessualità sperimentata dagli autori, con tutti i gustosi limiti che questa prospettiva comporta. Basta per invogliarvi ad acquistarlo?
Però non mi dispiaceva del tutto che potesse intuire il mio interesse smodato, tanto più sincero quanto incapace di dissimulazione: il mio palese stravolgimento era un tributo genuino alla sua attrattiva sessuale. Mi scoprivo vulnerabile, inadeguato, felice. Avevo finalmente avuto accesso a quella zona di me che non sta nella mappa.
Marco Cavalli, About Sex
