Il signor Leonardi si siede sul sedile posteriore dell’auto. La portiera si richiude dolcemente. «Andiamo in ufficio», dice. Una voce ferma e gentile risponde: «Buongiorno, signore. Subito signore». Il signor Leonardi ha disattivato la possibilità di svolgere con l’autista una conversazione convenzionale sul tempo, sul traffico o sul calcio, o di scambiare qualche banalità sulla politica. Nonostante tutto, gli pare stupido chiacchierare con una macchina. L’auto si immette silenziosamente nel traffico di vetture prevalentemente prive di autista umano. Qualcuno ancora guida la propria macchina, ma sta per essere approvata una legge che lo vieta. La guida diventerà uno sport, come l’equitazione o il tiro al piattello, da svolgersi esclusivamente in spazi adatti. Ovviamente gli incidenti si sono quasi azzerati. In realtà il signor Leonardi non ha alcuna necessità di andare in ufficio: il poco lavoro che deve fare, firmare qualche documento, dettare un messaggio o una lettera, controllare le attività dei dipendenti, lo potrebbe fare da casa. Ma si sa, le abitudini…
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Le abitudini… Il signor Leonard si sveglia ogni mattina alle 7.45 con una musica di Mozart ogni giorno diversa. Una voce vivace ma rispettosa dice: la colazione sarà pronta tra 15 minuti. Ha disattivato la possibilità di conversare con la cameriera sul tempo, sulle previsioni del meteo, sulle notizie del giorno… Alle 8.00 due fette di pane ben dorate schizzano fuori dal tostapane; il caffè è pronto, lui deve solo prendere la marmellata dal frigo e il bricco del latte dal microonde. Ovviamente c’è un tecnico che carica la macchina del pane, quella del caffè, controlla il frigorifero, ma il signor Leonardi non l’ha mai visto. Se non fosse che compare una voce specifica nelle spese condominiali, potrebbe anche immaginare che non esista e che tutto sia frutto del progresso tecnologico.
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L’ufficio è in elegante palazzo in cui il portiere è stato sostituito da uno scanner vocale. Bisogna ripetere una parola pronunciata dal citofono, diversa ogni giorno. In ascensore non ci sono pulsanti, basta dire il piano. Il signor Leonardi viene accolto da una melodiosa voce di donna: «Buongiorno, dottore!». L’ufficio è ampio, arredato con eleganza un po’ fredda, completamente deserto: tutti gli impiegati lavorano a distanza, anche se la maggior parte dei compiti viene svolta dai computer. Alle 9.00 il signor Leonardi siede alla scrivania, accende il computer e controlla, anche se sa che non è necessario, le attività svolte e da svolgere. Ogni tanto detta un messaggio alla segretaria («certo dottore, subito dottore»).
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Alle 10.30, minuto più minuto meno, un piccolo drone deposita un pacchetto sul davanzale. Il signor Leonardi ritira il pacchetto che contiene una brioche e una tazza di cartone con un caffè macchiato. Divide in due la brioche. Lascia la finestra aperta ed arriva il gabbiano.
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Il gabbiano mangia rapidamente la mezza brioche, poi fa un giro per l’ufficio senza paura e senza curiosità, come qualcuno che visita un ambiente in cui sa già cosa troverà: poi si appollaia di fianco al signor Leonardi e resta lì una decina di minuti, con quello sguardo apparentemente torvo e inespressivo che gli danno gli occhi chiari e cerchiati di arancione. Il signor Leonardi lo guarda, gli parla sommessamente e affettuosamente chiamandolo Geiel (J.L.) – in ricordo di un libro letto quando si leggevano i libri – e qualche volta cammina di fianco a lui in giro per l’ufficio. Infine, l’uccello salta sul davanzale e spicca il volo, il suo volo meraviglioso, chissà verso quale destinazione. Questo rituale si ripete da tre anni ogni giorno, dal lunedì al venerdì, alla stessa ora, subito dopo che il drone se ne è andato. Certo all’inizio il gabbiano non si fidava, si faceva vedere e volava via, tornava a prendere la mezza brioche appoggiata sul davanzale: poi un po’ alla volta aveva preso confidenza e da più di un anno entrava a fare il suo giro in ufficio. Il signor Leonardi si è chiesto più volte se il gabbiano vada all’ufficio anche il sabato e la domenica per poi volare via deluso. Ma pur potendolo fare non è mai andato a controllare. È un gabbiano reale uguale a tutti gli altri, in parte grigio e in parte bianco, dal forte becco giallo con una macchia rossa sulla mandibola inferiore. Il signor Leonardi, tuttavia, è convinto di saperlo riconoscere tra tanti, come solo una mamma sa riconoscere i suoi gemelli identici. Non ha però mai avuto né cercato l’occasione per mettere alla prova questa sua presunta capacità. Sparito il gabbiano il signor Leonardi riprende il lavoro, quel pochissimo che c’è da fare.
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Alle 12.30 il signor Leonardi lascia l’ufficio e va al bar. È un bar all’antica, con la possibilità di scegliere cibi e bevande semplicemente dicendo alcuni numeri del menu, poco dopo un robot-carrello porta al tavolo l’ordinazione. Si può mangiare qualcosa. La clientela è prevalentemente maschile, di mezza età, chiaramente benestante. Come lui. Si conoscono tutti di vista, nessuno si può considerare amico. Ogni cliente siede da solo a un tavolo, ma a volte il signor Leonardi, se non c’è posto deve sedere con uno di questi clienti e durante il pranzo sostiene una faticosa conversazione sul tempo, sul traffico, sul calcio, con qualche battuta banale sulla politica. Una conversazione che, probabilmente a livello superiore, avrebbe potuto intrattenere con l’autista, la segretaria, la cameriera. È evidente che questo contatto è forzato e inusuale. Alla fine si fa portare un caffè e torna in ufficio.
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«Bentornato dottore! Niente da segnalare».
«Grazie», dice il signor Leonardi. Si è dimenticato di disattivare la funzione grazie/non c’è di che, e pur sapendo che è una macchina non riesce a non essere cortese. Ma questa è tutta la conversazione possibile. La poltroncina dell’ufficio è molto comoda nonostante la rigida linea moderna. Si siede, si slaccia cravatta e colletto e poco dopo si appisola. Quasi sempre sogna di volare come un gabbiano o insieme al gabbiano o a cavallo del gabbiano. Il sogno sembra durare moltissimo, i cieli in cui volano sono sempre azzurri, sopra un mare dello stesso colore, l’aria è frizzante. Solo poche volte hanno attraversato cieli tempestosi su mari cupi. Mentre volano parlano, si confessano pensieri e desideri. È un sogno felice e quando si sveglia si sente sereno.
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Il pomeriggio trascorre lentamente nella sua inutilità. Alle 18.30 il signor Leonardi saluta la segretaria. «Buonanotte dottore!», gli risponde. Scende, sale in macchina e si fa portare a casa. Poco più tardi esce per andare in trattoria. Anche qui conosce tutti di vista, con pochi scambia un saluto, non ha mai cenato con un altro cliente. Ordina sempre “il piatto del giorno”, un po’ per variare ma anche perché spera che sia più fresco. Il robot che gli porta la cena ha fattezze umane, ma l’unica frase che dice è: «Spero che sia di suo gradimento». Il signor Leonardi non è molto interessato a quello che mangia, consuma la cena e torna a casa. Si veste comodamente, si siede in poltrona e ascolta musica o guarda la televisione. Alle 23.00 va a dormire e dorme profondamente, con l’aiuto di alcune gocce.
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La mattina del sabato è dedicata a mantenere la forma fisica, «andiamo in palestra», dice all’autista. In palestra ogni cliente ha un suo posto davanti a una macchina che tramite un chip lo riconosce e programma gli esercizi. «Andiamo al parco», dice Leonardi più tardi. Qui cammina a lungo, incontra qualche mamma con bambino, siede su una panchina, ascolta le notizie, guarda le persone che passano. A parte le donne col figlio tutti sono soli. Alle 10.30 pensa al gabbiano con tenerezza. «Chissà se mi sta aspettando!». Il sabato si cucina qualcosa da solo, sa fare poche cose ma le fa bene. Il frigorifero è sempre fornito degli ingredienti che gli servono. I piatti verranno ‘misteriosamente’ lavati e riposti da qualcuno che non ha mai visto, ma che paga. Il pomeriggio del sabato e la domenica sono dedicati all’ascolto della musica o alla proiezione di vecchi film. Ha rinunciato al televisore olografico: troppo realistico e provocatorio. Le poche scene di sesso o di violenza che aveva visto lo avevano disturbato e spaventato.
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Anche la domenica alle 10.30 gli viene in mente il gabbiano. «Chissà se mi sta aspettando…». La domenica trascorre in parte al parco a passeggiare, da solo, incontrando persone che passeggiano da sole, in parte ascoltando musica o riguardando vecchi film. Una vita noiosa? No, una vita ordinata e regolata, una vita come quella di tutti i suoi coetanei e conoscenti. La parola “noia” non c’è più nei dizionari scolastici, si trova solo in quelli più scientifici preceduta da una crocetta che indica desueta, obsoleta. Il signor Leonardi è cosciente di essere un privilegiato, uno che mangia in trattoria, passeggia e ascolta musica. Non si è mai chiesto se può modificare i suoi orari, gli impegni, le abitudini. Non ha mai sentito il bisogno di farlo e nemmeno di pensarci. Le sue giornate sono complete e soddisfacenti, o almeno normali.
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Un giorno il gabbiano non si presenta. Il signor Leonardi lo aspetta, lascia la finestra aperta con la mezza brioche in vista sul davanzale, rinuncia per la prima volta ad andare al bar. Alle 18.30 torna a casa. Anche il giorno seguente il gabbiano non arriva e il signor Leonardi lo aspetta con la finestra aperta fino all’ora di tornare. «Un gabbiano vive anche15 anni», pensa, ma non ha la minima idea di quanti anni possa avere Geiel. «Forse è volato a morire in Perù», pensa dolorosamente, ricordando un racconto di Romain Gary che aveva letto quando si leggevano i libri. E immagina il lungo viaggio, con Geiel a volte appollaiato sul punto più alto di una portacontainer, invisibile ai marinai, per riposarsi e poi riprendere il volo, più veloce della nave. Lo immagina colto da un pensiero alle 10.30 di ogni giorno del lungo viaggio. Per tutta la settimana il gabbiano non si presenta.
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Alle 11.00 del venerdì il signor Leonardi chiude la finestra, spegne la segretaria, lascia l’ufficio, in fondo non c’è niente che non possa fare da casa. Per la prima volta, per quanto si ricorda, prova una dolente sensazione di assenza.