Di Ödön von Horváth, drammaturgo e romanziere austriaco nato a Fiume nel 1901 e morto, per un incidente, a Parigi nel 1938, Giunti-Bompiani ha ripubblicato nel 2018 il romanzo Gioventù senza Dio (già presentato sempre da Bompiani in prima edizione nel 1948 nella collana “Letteraria”, e poi ancora nel 1974).
Una ripubblicazione meritoria perché si tratta di un testo di grande valore, arricchito da una introduzione di Antonio Faeti e ancora nell’eccellente traduzione del 1948 di Bruno Maffi.
di Giuliano Gallini
Ambientato negli anni ‘30 in Germania, Gioventù senza Dio (Jugend ohne Gott, 1937) è il racconto della lunga domanda che un professore liceale trentacinquenne si pone sulla generazione dei suoi studenti, che sente alieni, mutati profondamente, incomprensibili e, soprattutto, intollerabili per il sistema valoriale in cui si riconoscono.
«Tutti i negri sono mascalzoni, vili e pigri» è la frase che scrive uno studente in un tema sul perché abbiamo bisogno di colonie. Il professore pensa che sia una frase troppo stupida e scrive a margine, con inchiostro rosso «Assurda generalizzazione». E ricorda:
Non l’ho udita poco fa questa frase sui negri? Dove? Ah, ecco, in trattoria, urlata dall’altoparlante. Sì, e mi aveva quasi tolto l’appetito. Lascio quindi la frase intatta, poiché nessun professore ha il diritto di cancellare in un quaderno ciò che si dice per radio. E, mentre seguito a leggere, odo continuamente la radio: sussurra, stride, urla, geme, minaccia. E i giornali riportano le sue parole, e i ragazzi le copiano.
La classe però si schiera con il compagno e chiede di sostituire il professore. Non hanno fiducia in un insegnante che difende i negri. Il preside si oppone, ma sembra una opposizione solo di facciata. E il professore si arrende, non fa nulla per cambiare le opinioni di quei ragazzi, di quella generazione affascinata dall’avanzare del nazismo e dei suoi giovanili, nascenti, violenti valori.
Eccoli lì davanti. Mi detestano, vorrebbero rovinarmi, vedermi in miseria; tutto perché non possono sopportare l’idea che anche un negro sia un uomo. No, voi non siete uomini. Ma state tranquilli, amici miei, non voglio subire una punizione disciplinare per i vostri begli occhi, e tanto meno perdere il pane. Ah, mi vorreste vedere in miseria? No, non vi farò questo piacere. Da oggi vi dirò che non esistono uomini all’infuori di voi, ve lo ripeterò fino alla nausea. Del resto, non desiderate altro.
Questo episodio è molto forte, si trova all’inizio del romanzo ma poi arriva subito una svolta narrativa, il tema del razzismo resta sullo sfondo e l’investigazione su un omicidio fa emergere i temi della colpa e della responsabilità, che diventano centrali. Von Horváth comincia a raccontarci un’altra storia (con una connessione magistrale il tema del razzismo tornerà ma solo nell’ultima pagina mostrando come sia una impietosa ironia a guidare il destino del professore) trascinando il lettore almeno su tre diversi piani di lettura: uno filosofico e religioso, uno emotivo e uno di puro intreccio romanzesco.
La qualità del libro è di riuscire a non disgiungere i tre piani, a non annoiare mai e a tenere il lettore legato alla storia. A questo risultato contribuisce uno stile espressionista di grande bellezza: la prosa secca, incalzante, priva di indulgenze, resistenze o lentezze proietta i turbamenti e le paure dei personaggi sulla realtà, modificandola. Non è la realtà esterna e oggettiva della società o della natura a imporsi, ma quella interiore degli individui.
Il piano filosofico-religioso
Il titolo, Gioventù senza Dio: in molti momenti della narrazione il professore affronta il problema di Dio, soprattutto in tre grandi dialoghi con un prete. Il prete è disincantato, la sua fede è razionale non bigotta.
Dio è ciò che c'è di più terribile al mondo.
Nel primo dialogo il professore afferma di non credere in Dio proprio per il motivo affermato dal prete, ma nei dialoghi successivi il suo ateismo si trasforma in una richiesta, in una domanda di Dio, che diventa una necessità della sua esistenza. Il professore cerca un Dio-coscienza, non importa se legato a un filo celeste o terreno, ma ha bisogno che esista, per aiutarlo a correggere una generazione che vive senza morale, responsabilità, senso della colpa. Non si tratta di aderire al concetto di peccato originale cristiano, ma a una condizione più universale poiché:
…anche prima di Cristo esisteva il peccato originale. Anassimandro: le cose torneranno necessariamente là da dove sono venute, poiché devono espiare la colpa della loro esistenza secondo l’ordine del tempo.
Il piano emotivo
La colpa e la responsabilità sono due stati d’animo che il professore esprime con una ipersensibilità esasperata, trasmessa al lettore senza schermi o infingimenti. Il professore dopo l’episodio dello scontro con gli studenti evita di tornare sull’argomento del razzismo e con la classe parte per un campeggio, una sorta di corso premilitare. Rinuncia per viltà al proprio ruolo di educatore e a sostenere i valori in cui crede. La parte centrale del romanzo ruota attorno a un omicidio avvenuto proprio durante il campeggio e sul quale il professore svolge una indagine personale che diventa anche una indagine sui propri obblighi morali. Tra la tendenza a nasconderli e una liberatoria ammissione Von Horváth costruisce una tensione che quasi strappa le pagine.
Ora tocca a me. Sono quasi le cinque. Giuro davanti a Dio di dire la verità, nient’altro che la verità. Sì, nient’altro che la verità. Mentre giuro, la sala si agita. Che cosa c’è? Mi volto e vedo Eva. Si siede sul banco dei testimoni, accompagnata da una guardia. Volevo vedere i suoi occhi. Li guarderò appena avrò detto tutto. Per il momento non mi è possibile.
Il piano dell'intreccio
Un omicidio scatenato da un motivo futile, ma che forse è solo un pretesto per uccidere in nome dell’amoralità e dello sbandamento della coscienza. In due occasioni il professore deve intervenire per evitare che degli innocenti vengano ingiustamente accusati e condannati. Interviene al processo e fuori dal processo, sapendo che non potrà che pagare molto pesantemente le sue scelte. La lotta che avviene dentro la sua coscienza, il suo ritornare a essa, è raccontata con continui velamenti e svelamenti che non danno tregua al lettore: ma è una suspense molto più densa di quella di un giallo qualsiasi perché coinvolge un movimento profondo dell’animo umano, all’alba di una fase storica impazzita e (speriamo) irripetibile come quella del nazismo.
Anche il mistero interiore del professore è raccontato con uno stile che muove da un Io frammentato, diviso, privo di equilibrio verso una realtà esterna che vorrebbe ordinata e totale ma che non riesce a trovare; e che allora affronta con distacco, domande retoriche, sguardi grotteschi. Von Horváth dà al pensiero e alla parola un ritmo polverizzato che racconta senza sbavature il baratro davanti al quale il professore è attratto e rassegnato e che infine decide di affrontare rischiando il precipizio.
Forse un editor contemporaneo troverebbe molte imperfezioni nel testo. Alcuni passaggi sono oscuri o contradditori, altri superflui: ma una grande ispirazione si nutre anche di imperfezioni. La costruzione di un romanzo necessario, che non si dimentica, si forma libera dai lacci delle scuole di scrittura.
È un libro per...
…chi vuole conoscere che cosa c’è dentro le nostre coscienze. Da non perdere.
Gioventù senza Dio, Ödön von Horváth, Bompiani, 2019, pp. 151, euro 10