L’unica verità è la morte. Il resto è solo un elenco di dettagli… alla vita ho imparato a dare del tu proprio avvicinandomi alla morte. Flirto con l’una pensando all’altra. In continuazione, da quando quel cane di mio fratello, sangue del mio sangue, carne della mia carne, se ne è andato nella terra dei pazzi e dei fanatici.
Inizia così il monologo di Azad, Fratello grande, francese figlio di genitori siriani immigrati in Francia. Pensa in continuazione a Hakim, suo Fratello piccolo, che se ne è andato da Parigi per lavorare in un’organizzazione umanitaria musulmana ma in realtà, teme Fratello grande, per arruolarsi nella jihad.
di Giuliano Gallini – www.giulianogallini.it
Il romanzo di Mahir Guven è un dialogo a distanza tra i due fratelli; a volte pare che parlino uno all’altro, altre che parlino al lettore, proprio a me, ma in entrambi i casi non riesco a staccarmi dai loro argomenti e sentimenti, dall’incalzare degli eventi, dallo svelamento progressivo della loro condizione umana. Costruito sapientemente il romanzo procede alternando monologhi di Fratello grande a monologhi più brevi, essenziali, disperati di Fratello piccolo:
La settimana dopo ho iniziato a lavorare all’ospedale. Un bordello. Non avevamo niente e lì era tutto una urgenza. Non sapevo dove sbattere la testa. Quando arrivavano i pazienti, prima di tutto dovevamo capire cosa farne. C’erano i feriti, i malati, i malnutriti e i pazzi. Mancava lo spazio per poter gestire tutto.
Fratello grande, invece, vuole costruirsi a Parigi una vita ‘normale’, ma non è facile. Suo padre, un anziano tassista, gli rimprovera di lavorare per Uber, gli rimprovera certe sue intemperanze, gli rimprovera di non essere “comunista” come lui. E Fratello grande vive sul fondale meraviglioso e terribile della Parigi contemporanea.
È notte, e mi piace quando di notte piove. Le gocce che si allungano sul parabrezza, le luci lontane della città che sfumano dietro la condensa, il rumore degli schizzi d’acquedotto, il telaio e il riflesso rosso delle luci di posizione sull’asfalto bagnato. Ogni tanto fermo la macchina in un punto un po’ in alto, a Les Lilas, vicino al forte di Romainville, per farmi una canna. [...] A me fa anche incazzare che ci pigliano per la spazzatura della Francia. Non è che l’abbiamo chiesto noi di conciare tutto come un troiaio, ci siamo solo cresciuti dentro. I più grandi che spaccavano tutto, e noi più piccoli che li imitavano. E domani i piccoli di oggi imiteranno noi, una specie di cultura della miseria...
C’è una prima svolta narrativa nel romanzo di Guven quando Fratello piccolo torna: dove è stato veramente? Che cosa ha fatto? E una seconda, quando accade qualcosa di terribile che coinvolge entrambi i fratelli.
La trama mi trascina coerentemente verso il suo esito, sospinta da personaggi che non si dimenticano facilmente. La scrittura è curata e alterna il parlato a momenti più lirici. La cronaca del rapporto tra i due Fratelli e il padre sta tutta dentro la grande Storia contemporanea della immigrazione e della incomprensione tra le culture. Forse l’Autore (figlio di rifugiati in Francia come i suoi personaggi) ha usato l’espediente dei due fratelli per rappresentare la doppia anima che convive dentro a molti giovani musulmani francesi.
Un libro per…
…per chi vuole capire un altro punto di vista, una condizione umana diversa e distante dalla nostra.
Fratello grande, Mahir Guven,
Edizioni E/O, 2017, 261 pp., € 16