Il punto di partenza del romanzo è una storia vera: il principe Gesualdo da Venosa è un musicista; compone madrigali che dal XVI secolo arrivano fino a noi e che Igor Stravinskij apprezzerà al punto da riprenderli per la composizione di Monumentum, presentato a Venezia nel 1960. In Madrigale senza suono (Premio Campiello 2019), la vita tormentata di Carlo Gesualdo è narrata dal nano Gioachino, un servo che segue il principe musicista ovunque e che conosce anche le sue più segrete vicende. Il racconto di Gioachino ci arriva sotto forma di un manoscritto ritrovato da Stravinskij. Attraverso questo artificio letterario si esprime la creatività di Andrea Tarabbia, che sviluppa un intreccio molto ricco (e molto crudele) con un linguaggio elegante, drammatico ed efficace.Â
di Chiara Levorato
Il suo romanzo si caratterizza per una trama coinvolgente e per una struttura narrativa molto articolata. Aveva in mente un particolare tipo di lettore, un destinatario ideale?
Non riesco a fare l’identikit del mio lettore tipo. Credo però che il lettore ideale di ogni scrittore sia uno e uno solo: lo scrittore stesso. Immagino dunque che il lettore di cui mi chiede sia qualcuno che mi somigli e che ami i libri che amo io, e che per questo vada cercando, nei libri che legge, un passo, un tono particolare in cui riconoscersi.
Quali romanzi classici potrebbe amare questo lettore? Per l’incipit, ma anche per la temperie culturale in cui si sviluppa la storia, vengono in mente Manzoni, Eco…
In Madrigale, oltre ai riferimenti che lei cita, ci sono tra gli altri echi di Pomilio, Volponi, Piovene, Bulgakov, Dostoevskij, Testori, Sebald, Canetti, Mann, Andreev, Bufalino, Hugo. Questo non per dire che io somigli a qualcuno di loro, ma solo che sono uno studente della loro classe, cerco di rubare quello che posso e di riutilizzarlo nei libri che scrivo. Un lettore che li conosce e li ama può forse seguire le tracce di questi furti.
Lei usa l’artificio del manoscritto ritrovato. Qual è lo scopo di questa scelta? Trovo molto originale la scelta di far parlare Stravinskij: voleva forse mettere in evidenza il tema della creatività artistica? Oppure Stravinskij è un suo alter ego e le è servito per dire ciò che non poteva far dire a Gioachino?
Volevo che Stravinskij parlasse e avesse un ruolo preciso nella struttura del libro. Non volevo scrivere un romanzo dell’Ottocento, ma un’opera contemporanea che contenesse una riflessione su se stessa e che commentasse continuamente ciò che accade. Questo è il ruolo di Stravinskij. La questione del manoscritto ritrovato è presto detta: stavo ambientando un romanzo in un’epoca molto vicina a quella dei Promessi sposi. I miei protagonisti – Gesualdo e Stravinskij – sono due musicisti che lavorano con i materiali della tradizione modernizzandoli. Ho pensato fosse giusto fare la stessa cosa, così ho preso alcuni elementi della nostra tradizione letteraria (il manoscritto ritrovato, il genere epistolare/diaristico, e così via) e li ho usati in una struttura contemporanea, mettendone continuamente in dubbio la verosimiglianza.
Maria, quasi un ‘non personaggio’ le cui ragioni non vengono mai raccontate, e Leonora, merce di scambio tra famiglie potenti, a cui non viene riconosciuta alcuna soggettività e verso la quale lei sembra voler suscitare un sentimento di commossa partecipazione. Attraverso le due figure femminili è molto ben rappresentato il tema della struttura sociale crudele che tende unicamente alla propria autoconservazione…
Non sono convinto che Maria non sia un personaggio, anzi. Lei – la sua morte – è la chiave di tutto, perché è sulla sua mancanza che si fonda l’ossessione di Carlo, il suo umore nero e la sua poetica; dunque è su di lei che è costruito il romanzo. Ci sono inoltre alcuni momenti chiave che la riguardano: il non-rapporto col figlio piccolo, il rifiuto delle avances di Giulio Gesualdo, l’amore con Carafa… I suoi sentimenti sono molto presenti nel romanzo. Non si dimentichi poi che Aurelia [nel romanzo le streghe Aurelia e Polisandra rappresentano la visione magica contrapposta alla scienza ufficiale del dottor Staibano, n.d.r.] altro non è, nella mente di Carlo, che una Maria rediviva.
Non ho nessuna commossa partecipazione nei confronti di Leonora: ce l’ho piuttosto verso il figlio che lei ebbe con Carlo, Alfonsino. Ma non è una questione di simpatie o antipatie personali: la costruzione di un personaggio realmente esistito dipende dalla mole di materiali che si hanno a disposizione. I materiali su Leonora non erano pochi ma non erano nemmeno così interessanti. L’ho usata, per così dire, come un riflesso delle ubbie di Carlo e della morte di Alfonsino.
Altro tema chiave: la scienza dell’epoca e la superstizione. Il medico Staibano è un positivista, crede nella ricerca empirica ma non è in grado di praticarla. La persona più lucida sembra essere la strega Aurelia, che prepara intrugli medicamentosi con le erbe. C’è qualcosa che richiama l’attualità ?
Le parti sul medico sono state molto divertenti da scrivere e c’è quasi sempre dell’ironia nei suoi confronti quando è in scena: fa autopsie con baffi di menta legati alle orecchie, viene deriso perché i suoi rimedi non curano e perché passa le giornate a svuotare cadaveri per trovarvi l’anima. La storia di Gesualdo è ammantata di superstizioni, stregoneria, credenze popolari: non potevo prendere troppo sul serio la medicina, che oltretutto all’epoca utilizzava metodi molto simili alla stregoneria. Di riflesso, c’è un atteggiamento quasi ‘scientifico’, o per lo meno una forma di saggezza, nella figura della strega. Insomma, è un mondo ribaltato.
Si parla spesso delle emozioni che il lettore prova, ma anche il processo di scrittura non è puramente razionale, perché vi partecipano le emozioni. Tra le emozioni includo il piacere, il coinvolgimento emotivo, lo stupore, la pietà . Quali sono le emozioni che ha provato più spesso e in modo più intenso durante la creazione di Madrigale? Queste esperienze emotive sono più forti quando scrive o quando rilegge quello che ha scritto?
Mi ci sono voluti quattro anni e mezzo per fare Madrigale, dall’idea allo studio, dall’ideazione della struttura alla sua realizzazione. In questo intervallo di tempo ho provato tutte le emozioni possibili, anche perché non ho vissuto in una torre, ma ho lavorato, viaggiato, tirato su mio figlio. Insomma: non sono in grado di separare il romanzo da quello che sono stato in quei quattro anni e mezzo, non so quali stati d’animo siano dipesi da lui o dalla vita quotidiana.
Il titolo: un ossimoro. Vuole commentarlo?
Ci sono due risposte possibili. La prima è che il libro è costruito per voci, per canoni, come un madrigale, ed essendo un libro è un oggetto muto, senza suono. La seconda è una possibile chiave di lettura del romanzo che viene più o meno svelata nelle ultime pagine. Non vorrei rivelarla qui: mi basta dire che durante tutto il libro il mio Gesualdo è ossessionato dalla pochezza dei suoni esistenti, che secondo lui non sarebbero in grado di restituire la potenza dell’universo. La musica, per lui, nei momenti di sconforto è muta. Cerca perciò ossessivamente un suono altro che sia capace di restituire il mondo nella sua complessità . Ma ciò che ottiene è qualcosa di informe, di quasi inascoltabile…