QdiQuarantena – Rubrica semiseria sugli effetti di un isolamento prolungato
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Questa mattina, aprendo lo sportello del mobile della cucina, ho visto che la scatola del riso aveva un’aria arrogante, un atteggiamento di superiorità o sufficienza nei confronti dei pacchetti di pasta. È vero che la scatola del riso è alta esattamente 21 centimetri e quindi si incastra perfettamente tra due mensole. Il che forse le fa credere di far parte della struttura del mobile.
C’è anche da considerare che la scatola è rigida, rimane uguale anche se semivuota, e per questo forse pensa di essere migliore dei pacchetti di pasta, che quando sono cominciati dimostrano con evidenza il loro consumo. Ma poi ho visto che anche i diversi tipi di pasta si comportano nello stesso modo con i propri simili: al vertice le paste grosse, maccheroni, penne, paccheri, in fondo le stelline (anche se in una scatola ce ne sono 7459) e tutte le pastine da brodo.

Mi è parso evidente il disprezzo – non lo condivido, per carità – dei rigatoni nei riguardi della tempestina che incautamente era capitata accanto. E tutti, dico tutti, perfino gli inconsistenti capelli d’angelo, mostravano diffidenza e ostilità verso un avanzo di cous cous, vecchio e straniero.
E poi con quel nome che fa pensare a due colpi di tosse! Non è che queste cose me le abbiano dette, non ce n’era bisogno, si capiva. Discorso a parte per gli spaghetti: hanno la scatola più lunga, ma sono posti in orizzontale, bassi e umili. Le scatole di pomodori e di fagioli sono chiuse, non si esprimono, anche se mi è parso di cogliere del sarcasmo, come a dire: nonostante l’etichetta non saprai cosa abbiamo dentro finché non ci apri! E qualcuna forse ridacchiava mormorando “botulino botulino”.
Ho detto chiaramente a tutti che non mi piacciono le discriminazioni e il bullismo e ho chiuso lo sportello lasciandoli al buio. Mi è sembrato di sentire delle risatine, ma ovviamente è soltanto la mia immaginazione.
Da due o tre giorni il frigorifero ha cominciato a parlarmi. Strano che non mi ricordi la data esatta, perché finora aveva solo brontolato e canticchiato, come fanno tutti i frigoriferi. Insomma due (o tre) giorni fa ho aperto il frigo e dall’interno una voce mi ha detto “Ehilà, come va?”. Più esattamente ha detto “kóme fa?” perché è un frigorifero tedesco: mi è piaciuto questo interessamento, ma lo dice ogni volta che apro la porta del frigo. Prendo il latte, Ehilà, kóme fa?, metto via il latte, Ehilà kóme fa? Per fortuna c’è ancora freddo e tengo quasi tutto in terrazzino.
Il cassetto delle posate mi ha turbato. Ho colto una immotivata preoccupante ostilità da parte dei coltelli. Immotivata perché li tratto bene, li porto ad affilare regolarmente, li stimo. Le forchette non mi sono sembrate ostili ma sarcastiche, mentre cucchiai e cucchiaini, paciosi e ottusi, come al solito non hanno manifestato sentimenti.
Ho pensato di passare meno tempo in cucina. Ho preso un libro, ostentatamente a caso per non creare malumori, e mi sono seduto sul divano, che mi ha accolto con amorevole soddisfazione, anche se ho capito che si sentiva trascurato a favore del letto.
Credo che domani dovrò provare a uscire per un po’, sempre che la porta me lo consenta. NZ
Disegni di Nino Trainito
- 23° giorno, il frigo ha cominciato a parlarmi…
- 24° giorno, la formula della distanza
- 25° giorno, Momo gatto junghiano
- 26° giorno, sull’aggressività dei coltelli
- 28° giorno, viviamo in tempi sospetti
- 29° giorno, a raddrizzare quadri storti
- 30° giorno, sicofante acribia anodino sesquipedale!
- 31° giorno, si tratta di un complotto del gatto Momo
- 32° giorno, i liquori hanno litigato fra di loro
- (33°) e 34° giorno, ogni cosa torna al suo posto